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Kant e la pace perpetua

Nel suo Progetto per la pace perpetua, del 1795, Immanuel Kant si propone di dedurre razionalmente una serie di norme vincolanti per gli Stati, al fine di limitare al minimo le probabilità e le occasioni di future guerre. Con una buona dose di ironia egli inquadra la sua proposta nella cornice tipica di un protocollo diplomatico, con tanto di clausola salvatoria a mo’di prefazione. Il cuore della proposta è l’idea di un accordo fra gli Stati simile a quelli che li ha istituiti, un patto che preveda le norme giuridiche necessarie a garantire la pace. La proposta di Kant non vuole essere utopica, per questo, sebbene ritenga auspicabile la cessione di quote di sovranità in vista di una Repubblica universale, limita il suo disegno al “surrogato negativo di una lega contro la guerra, permanente e sempre più estesa”.

perpetua

 

Ma quali sono le basi del progetto? Secondo Kant le relazioni internazionali diventeranno veramente pacifiche quando all’interno degli Stati si affermerà un regime repubblicano (oggi diremmo “democratico-costituzionale”). Allora infatti per iniziare una guerra sarà necessario il consenso dei cittadini, i quali dovendone subire le conseguenze in prima persona, saranno renitenti a concederlo. Con il diffondersi delle democrazie (assai rare all’epoca) la pace mondiale si affermerà come immediata conseguenza. La democrazia rappresentativa (non quella diretta, che è dispotica in quanto occulta il dissenso) è il primo decisivo tassello verso la lega per la pace. Gli altri sono un diritto cosmopolitico, limitato all’ospitalità temporanea degli stranieri, e la presenza di un commercio globale foriero di stabilità. L’idea di un diritto internazionale che prevede la visita, ma non il soggiorno, può suonare contraddittorio e un po’ deludente. Occorre ricordare però che al tempo di Kant il problema all’ordine del giorno non erano le migrazioni, bensì il colonialismo aggressivo e fomentatore di guerre. Insomma Kant pensa a un diritto che favorendo universalmente i contatti commerciali prepari alla pace, idea tutt’altro che scontata se si pensa che ai suoi tempi molte realtà politiche extraeuropee non potevano contare su una vera e propria struttura statale. C’è fiducia in Kant in un processo giuridico, civile, graduale e costante, qualcosa che è garantito dal corso stesso delle cose. Quand’anche l’uomo non fosse orientato a incamminarsi verso la pace sarebbe costretto a farlo da quelle dinamiche che prima lo hanno disperso nel globo e che ora gli impongono, anche traumaticamente, di dare forma giuridica ai rapporti coi propri simili. Il finalismo storico, dunque, come garante della pace, un garante che non esime il garantito dai suoi impegni, ma che, in caso di inadempienza, interviene con i suoi mezzi, senza bisogno di interpellarlo o di ottenerne la collaborazione. Ma se è vero che la natura compie un percorso, l’uomo può agevolarlo: la filosofia del diritto di Kant è un’applicazione dei principi del criticismo e ciò significa che anche i governanti, come tutti gli uomini, devono servirsi del proprio intelletto non in modo opportunistico, ma seguendo i dettami della ragione pura pratica. Senza la fiducia che ciò possa un giorno realizzarsi, anzi debba verificarsi, cadrebbe il punto centrale del progetto, ossia l’idea che gli Stati vincolino se stessi al rispetto delle norme per la pace, pur in assenza di qualsivoglia costrizione esterna.

Il filosofo Jurgen Habermas ha recentemente proposto la sua rilettura dello scritto kantiano. La sua conclusione è che si tratta di una proposta che, pur rimanendo valida nel proposito, appare fondamentalmente superata. La tesi ottimistica per la quale i regimi democratici avrebbero rappresentato una garanzia contro la guerra, nel Novecento è stata contraddetta dalla forza dell’idea di nazione, dalla sua ambivalenza e dalla sua capacità di mobilitare le masse verso la guerra. Effetti che il filosofo non poteva prevedere, ai quali potremmo aggiungere quelli dell’ideologia (razzista, classista, ecc). Dunque Kant secondo Habermas non ci avrebbe visto giusto nel breve periodo, ma nel lungo forse sì: dopo le due guerre mondiali il mondo ha deciso di riempire il vuoto giuridico nelle relazioni internazionali con una serie di patti, associazioni e strumenti che si propongono di eliminare lo stato di natura fra le nazioni del mondo. Il filosofo ha colto nel segno anche prefigurando una sfera pubblica mondiale in cui la violazione del diritto da una parte sarà vissuta come tale anche da tutte le altre. O quando indica nella trasparenza degli atti pubblici lo strumento per indurre la politica all’onestà.

Di fronte ai fatti ucraini, al ritorno, proprio in questi giorni, di una calamità che sembrava impensabile e irrealistica, Kant rimane comunque attuale in due sensi. Da un lato per il suo legare la guerra a qualcosa che si annida nella struttura sociale (da qui l’importanza della democrazia); dall’altro per la sua concezione della politica come difficile conciliazione tra dovere e prudenza, conformità ai dettami della ragione e cinismo. E’ vero che la politica del serpente (il realismo) prevale sull’ingenuità della colomba (il dovere), ma serpente e colomba sono conciliabili, a cominciare dalla lotta continua che ognuno di noi deve condurre con se stesso.

                                                                                                                                 Marco Cappuccini

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