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La tradizione è un ostacolo?

In una commedia famosa di Edoardo de Filippo del 1931, intitolata Natale in casa Cupiello, il protagonista Luca chiede insistentemente al figlio Tommasino (Nennillo) se gli piaccia il presepe, quello che lui ogni anno costruisce, quasi ossessivamente, secondo la radicata tradizione napoletana: “Te piace ‘o presebbio?”. Nennillo invariabilmente risponde di no, che il presepe non gli piace, proprio non lo sopporta. Il figlio - un giovane viziato, inconcludente, profittatore e infelice – si ribella alle tradizioni di una famiglia apparentemente unita ma in realtà percorsa da contrasti, tradimenti, recriminazioni: una realtà che Luca Cupiello, chiuso nel suo rituale natalizio, non vede o finge di non vedere.

A questo proposito è lecito chiedersi: le tradizioni non ci fanno vedere le cose come stanno? Fra l’altro Nennillo si ribella anche alla figura paterna, incarnazione dell’autorità nella famiglia tradizionale (la voce del dovere che Freud associa al Super Io). Tradizione e autorità, andando di pari passo, ci tengono dentro un mondo che non c’è più? Oppure il mondo cambia in peggio proprio perché non ci affidiamo più alle buone autorità e alle tradizioni? Nennillo è “ucciso” dalle tradizioni o le tradizioni sono uccise dalle persone che assomigliano a Nennillo?

Anche la filosofia si è interrogata sul senso della tradizione e dell’autorità. Hans Georg Gadamer, in particolare, ha fatto della tradizione uno dei cardini della sua concezione filosofica, l’ermeneutica. Secondo il pensatore tedesco l’uomo, in quanto essere finito, cioè chiuso nei confini dello spazio e del tempo, non si può mai sollevare dalla propria storicità. Questo significa che l’uomo appartiene necessariamente a una tradizione che lo ingloba, lo supera e lo trascende: un insieme di pre-conoscenze che condiziona ogni nostra impresa interpretativa.

tradizione

E’ possibile per l’uomo liberarsi della storicità che lo caratterizza? Secondo Gadamer no. Ma anche ammettendo che lo fosse, così facendo non ci saremmo liberati di un ostacolo alla comprensione, ma proprio di ciò che la rende possibile. Noi avviciniamo un testo solo in quanto ne abbiamo già un’idea, e in base ad essa ci creiamo previsioni e anticipazioni di senso. Ogni nuova conoscenza è sempre predeterminata dalle conoscenze precedenti. E’ probabile che la comprensione vera e propria porti a rivedere le nostre aspettative, ma ciò accrescerà daccapo la struttura della nostra pre-comprensione nei confronti del medesimo testo o di altri oggetti di interpretazione. Il circolo ermeneutico consiste essenzialmente in questo processo. L’unico modo per rispettare un testo non è pretendere di restituirlo “dal di fuori”, ma, al contrario, approcciarlo a partire dai propri pre-giudizi per giungere a una verità che non potrà che avere il carattere della mediazione. Ma che ruolo gioca, in tutto questo, l’autorità? E’ davvero un pregiudizio da rimuovere, come riteneva l’Illuminismo? Secondo Gadamer i philosophes diffamando l’autorità in nome della critica, ne hanno anche deformato il significato concependola unicamente come ciò che reprime la libertà di giudizio. Contro questa visione Gadamer sottolinea che l’autorità, prima ancora che sull’ubbidienza, si fonda sul riconoscimento: non sulla cieca sottomissione, ma sul libero accoglimento di ciò che, in virtù del suo valore, può completare il nostro essere e farci da guida. Questo è il senso che gli antichi davano al termine autorictas come fondamento della tradizione. Dar credito all’autorità significa non solo comprendere l’orizzonte che ci contiene, ma anche porre le basi per agire al suo interno, giacché ogni atto interpretativo non può che collocarsi dentro di esso: la nostra interpretazione potrà cambiare la tradizione, trasformarla, ma non potrà distruggerla. Forse al termine della commedia di Eduardo è la consapevolezza di ciò a convincere Ninnillo a non rispondere al padre morente al solito modo:

-          Te piace ‘o presebbio?

-          …Sì.

                                                                                                                       Marco Cappuccini

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