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Le due Italie di Giovanni Gentile

Dopo l'esperienza traumatica della prima guerra mondiale, molti italiani esprimono l'eccezionale sensazione, accompagnata da una vera e propria retorica della novità, che la rottura con il passato sia consumata e irrevocabile. Si tratta di una lettura estrema del momento presente, che contiene una debolezza concettuale evidente al filosofo idealista Giovanni Gentile. Questa retorica della novità, secondo lui, non può che articolarsi attorno al costante riferimento al passato, anche se negativo, ed è in questa prospettiva che egli vede la novità: in termini di ripetizione o negazione, e quindi, sempre in termini di continuità storica.

Il discorso futurista e d'avanguardia rivendica la natura totale e irrimediabile, se non incommensurabile, del divario tra prima e dopo la guerra. Di conseguenza, è segnato da un'esaltazione e da una valutazione permanente della novità in quanto tale. Al contrario, il problema della discontinuità storica è trattato in modo più "ragionevole" - vale a dire da una prospettiva insieme più moderata e più razionale - dagli idealisti italiani. Nella loro filosofia, infatti, a partire dal principio dell'unità dello spirito nella storia, ogni rottura della continuità storica è assolutamente inconcepibile. Proprio per questo il binomio novità-tradizione assume un ruolo del tutto particolare nel pensiero di Gentile, in quanto ogni innovazione può essere concepita solo come aggiornamento di una tradizione che la precede.

gentil

Nelle centinaia di testi che Gentile scrisse dagli anni della guerra, troviamo una costante nella lettura della storia d'Italia, che continua a riformulare. Per qualificare favorevolmente un evento storico, Gentile introduce un duplice criterio: innanzitutto la sua intrinseca novità, che non è condizione unica e sufficiente, come per i futuristi, di cambiamento, ma che ha comunque una connotazione molto positiva. Significa infatti il ​​ rifiuto e il superamento di una situazione - l'Italia liberale, individualista e materialista di Giolitti - che Gentile considera decadente.

Il secondo criterio favorevole consiste nell'ancoraggio di questa novità in una tradizione precisa e storicamente determinata: il Risorgimento italiano, di cui si tratta di recuperare lo spirito originario per portarlo finalmente a una forma politica, civile e morale più completa. Rottura rispetto al giolittismo e continuità rispetto al Risorgimento sono le due articolazioni dialettiche della retorica gentiliana che consentono di inscrivere il giudizio favorevole alla novità in una visione idealistica e positiva della continuità storica.

Da questo schema Gentile non solo giudica favorevolmente gli effetti della partecipazione italiana alla Grande Guerra, ma sviluppa anche una sua teoria, seppur ispirata alla lettura di Gioberti e De Sanctis: la teoria delle “Due Italie”. In molti dei suoi scritti filosofici e letterari, infatti, egli sostiene che il "difetto" secolare degli italiani, radicati nelle loro divisioni municipali e individualistiche, era stato superato agli albori dell'Ottocento. Fu allora che finalmente uomini di lettere e d'azione come Alfieri, Manzoni, Gioberti e Mazzini avrebbero abbandonato il modello incarnato - secondo il celebre, e rapido, giudizio del De Sanctis - dal particolarismo di Guicciardini, per sacrificarlo sull'altare dei grandi ideali della fede patriottica. Questo momento di forza spirituale e ideale segnò così la nascita di un'Italia gloriosa non solo nella sua produzione artistica, ma anche politica e militare. Risorgimento" significa, in questo senso particolare, la rigenerazione morale e civile della nazione, e l'avvento della "Nuova Italia", contrapposta alla "Vecchia Italia" del Rinascimento e dei suoi poeti cortigiani. Dal quadro appena abbozzato si può comprendere l'affermazione provocatoria e aforistica di Ernesto Codignola, uno dei più stretti collaboratori di Gentile, che suscitò grande scalpore nell'opinione pubblica. Ad un congresso degli insegnanti nel 1919 sostenne che la riforma della scuola era essenziale, perché una delle cause principali della cocente sconfitta di Caporetto risiedeva nella scuola agnostica del tempo di Giolitti. Questa scuola non avrebbe saputo risvegliare nel cuore delle giovani generazioni italiane l'amore della patria e l'ideale del sacrificio, e sarebbe fallita nella sua opera di pedagogia nazionale e di disciplina morale e civile:

“Non è vero che la guerra si sia vinta per merito della scuola. La scuola ha condotto piuttosto a Caporetto che a Vittorio Veneto”.

Esiste quindi un legame inseparabile tra la riflessione teorica di Gentile sulla questione dell'identità nazionale italiana e la lotta che egli porta avanti per trasformare la scuola.

Altrettanto indissolubile è il legame che unisce l’interpretazione di Gentile della storia e dell'identità italiana con la sua successiva adesione al fascismo. La novità del fascismo realizza ai suoi occhi la vera tradizione del Risorgimento, tradita dall'Italia post-unitaria. Per mezzo della riforma della scuola, questa novità porta con sé l’occasione per realizzare finalmente un vasto progetto educativo, destinato a completare il progetto fallito di "fare gli italiani" dopo aver fatto Italia. Riflettendo sul significato dell’operato gentiliano risulta allora davvero illuminante il filosofo Gennaro Sasso, quando scrive: «Se Gentile diventò fascista, è colpa, si potrebbe dire scherzando, di Petrarca”. È proprio per impedire il ritorno dello spettro del letterato e della “vecchia Italia” che Gentile elabora la sua riforma scolastica e abbraccia l'ideologia e il regime fascista.

 

                                                                                                                                     Marco Cappuccini

 

 

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